14 aprile 1983. Il
giorno dopo, si tirano le fila del discorso dopo gara1. La squadra ha
festeggiato con una cena a Trastevere, dove il protagonista è stato
Clarence Kea. Quando s'è visto servire una fetta d'abbacchio, s'è
meravigliato. Chiedendolo, lui intendeva un abbacchio intero. A casa
Bianchini, notte turbolenta, perché il piccolo Tommaso non ha
dormito mai. «Sono riuscita a vedere solo il primo tempo – dice
mamma Marina – mi hanno detto che il secondo è stato più
divertente». Papà Valerio non è d'accordo.
.
In casa
Banco si lavora. Bianchini si complimenta con Meneghin per essere
rimasto in campo dopo essere stato colpito dalla monetina. «Non sono
mai stato tenero con lui. Ma ha dato una lezione di professionalità
a tutti». Poi, altri complimenti. «A me stesso, per la scelta di
Kea». Per la monetina a Meneghin il Banco è stato multato di 2
milioni, la squadra intanto lavora in vista di gara2: «L'impatto con
San Siro sarà tremendo – avverte il coach – guardate cosa hanno
fatto alla Scavolini. In gara1 loro hanno rimontato perché noi siamo
stati penalizzati dai falli». A Milano non sono ovviamente
d'accordo, anzi. Peterson è nervoso. «E' vero che hai aggredito
l'arbitro?» chiedono i cronisti. Lui non alza neanche la testa dal
libro che sta leggendo. Poi, dopo un'oretta: «Se l'ho fatto, mi
scuso». Ferracini si lamenta: «Anche la Ford è stata penalizzata
contro il Banco dall'arbitraggio di Baldini e Montella». La
designazione di Zanon e Gorlato per gara2 scatena le dietrologie di
Aldo Giordani, che su Superbasket spiega: «Con Golato-Zanon le
possibilità di vincere in trasferta sono enormi. Lo stesso Billy
vinse l'anno scorso lo scudetto a Pesaro con Gorlato e Zanon. Avesse
la Scavolini avuto la coppia invertita, avrebbe vinto 2-0. Chiaro? In
una finale scudetto, prendendo in esame le stesse coppie che sono
state ora scelte, c'è la differenza come dal giorno alla notte. Tra
dare a Baldini-Montella la prima in Roma, e gli altri la seconda in
Milano, e viceversa, la differenza si chiama scudetto».
Il
basket, intanto, è esploso in tutta Italia. Non c'è giornale che
non dedichi almeno un'apertura a questa finale, non c'è notiziario
televisivo che ne pali. La Repubblica dedica un approfondimento
all'evento e lo affida a Oliviero Beha, che spiega il fenomeno
Bancoroma così: «L'operazione compiuta dal Banco è stata quella di
rendere visibile nella capitale il basket che da sempre navigava
invisibile. Procedevano da anni, come sulle traversine di un binario,
un pubblico potenziale e un basket in penombra. Ciò che ha
trasformato in atto il pubblico, sposandolo a un basket cresciuto nel
frattempo, è stato il successo, il primato in classifica. Giocatori
romani, sfornati dalla capitale a mezza bocca senza trovare in loco
la grande occasione, girano superati per la A2 e la B, in oblio
attivo. Invece ecco finalmente che un Gilardi di Testaccio trova il
cavallo giusto, corre per la scuderia della sua città. Seminagioni
di anni, nel basket invisibile o quasi di vecchie squadre in vecchi
impianti, hanno trovato il profeta di un degno raccolto in un
allenatore super, Bianchini, in una società organizzata, il Banco,
nel coraggio e nella ragione di chi ha investito per riuscire in
serate come quella che ha infiammato il Palasport».
Superbasket
guadagna il 10% nelle vendite, nonostante i complottismi di Aldo
Giordani. Anche il Corriere della Sera dedica una pagina all'evento e
Dan Peterson ne approfitta per provocare. Quando gli chiedono chi
sono i migliori giocatori del campionato, non ne indica neanche uno
del Banco.
Enrico
Gilardi scrive sulla Gazzetta: «Solo
a pensarci mi vengono i brividi. Io, Enrico Gilardi, romano di Roma,
a un passo dallo scudetto con la squadra della mia città. Quante
volte l'ho sognato. Il basket è sempre stato il mio grande amore.
Ricordo quando sgambettavo nel cortile di Testaccio, quartiere
popolare. Ogni rione aveva una squadra, un canestro, qualche pallone
da lanciare verso l'alto. Debuttai con una raffica di vittorie. Roba
di prestigio. Con la squadra di Testaccio facemmo una gran figura ai
Giochi della Gioventù. Da Testaccio al Basket Roma, società
nell'ambito di Coccia. Un anno e poi la Lazio. Bel traguardo, i primi
articoli di giornale, i primi successi. Ma per problemi economici mi
misero sul mercato. Arrivarono molte offerte, ci fu un'asta. Scelsi
la Stella Azzurra perché volevo restare a Roma. Puntare a qualcosa
di importante nella mia città. Trovai Bianchini, fu amore a prima
vista. Ma quel ciclo si esaurì presto. Fui ancora venduto, ancora
per salvare il bilancio. Sinudyne? Rieti? Ho scelto Roma. Il Banco.
Un anno di assestamento, poi l'esplosione con Bianchini. Ha dato una
scossa a tutto: società, tifosi, settore giovanile, stampa. A me ha
chiesto di tirare, per essere me stesso. Un giocatore vincente, un
romano. Ci siamo capiti. Anche con Larry Wright. Non è un capo
carismatico, ma un campione che vuole vincere sempre. Quando ho
visto i 13mila di Cantù, ho avuto paura. Troppe responsabilità. Ma
come dice Bianchini, ciò che non ti uccide ti fa più forte. E noi
siamo più forti. Gara1 col Billy è stata un capolavoro. Segnavo
sempre. Dobbiamo dimostrare che il ponentino, le tentazioni notturne,
l'indolenza sono retaggi del passato. Che il romano vale quanto, se
non più, degli altri. Stavolta non c'è il rischio di essere
risucchiati, come con la Stella. La società è forte e i tifosi non
ci lasciano più. Lo dice Gilardi, che in sette mesi si è tolto
delle soddisfazioni. La Nazionale? Chi mi conosce, mi apprezza».
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- scrivendo all'indirizzo e-mail bancoroma83@gmail.com per informazioni e richieste
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- presso l'edicola di piazza Monte Baldo 9, a 200 metri da piazza Sempione
- facendo visita alla redazione de Il Romanista, via Bargoni 8 Roma, dalle ore 15 alle 21 tutti i giorni, sabato e domenica compresi (a proposito: se andate in edicola non dimenticate di chiedere Il Romanista!)
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