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sabato 29 marzo 2014

30 anni prima: 29 marzo 1984, Bancoroma campione d'Europa

Da Il Romanista di oggi

La Coppa dei Campioni vinta dal Bancoroma trent'anni fa, il 29 marzo 1984, è stato il punto più alto della storia dello sport romano, almeno per quanto riguarda gli sport di squadra. Nel calcio è andata com'è andata, nel basket la coppa più importante l'abbiamo presa. Sì, l'abbiamo presa tutti quella coppa, perché la storia di quel successo è una storia di uomini, atleti, appassionati, sentimenti che spingono talmente tanto e talmente forte verso l'obiettivo, al punto da raggiungerlo quasi naturalmente.

E' la storia di una squadra vera. Ancora oggi, se nomini il Bancoroma a chi l'ha visto e vissuto, non ti dice “Ah, lo scudetto... ah, le coppe...” Ti dice: “Ah, che squadra....” Ragazzi romani, altri che lo divennero, un campione, un altro americano cui non si poteva non voler bene, un allenatore che sapeva parlare al cuore di una città... Tutti fattori che danno a quella storia i crismi dell'unicità, per cui non è vero che ancora oggi se ne parla perché in 30 anni nessuno ha più vinto lo scudetto. Se ne parlerebbe allo stesso modo anche se altri fossero riusciti nella stessa impresa. Ma una squadra diversa difficilmente avrebbe vinto a Ginevra. Forse neanche ci sarebbe arrivata, perché il Banco dopo le sconfitte con Barcellona, Cantù e Bosna Sarajevo, era spacciato. “Dovrebbe concentrarsi solo sul campionato”, scrivevano. Invece vinse le ultime sei partite del girone finale e si conquistò la finale contro il Barcellona di San Epifanio, Solozabal, Sibilio, Starks e Davis, pivot americano che aveva giocato nel Bancoroma dal 1978 al 1981.

Non c'era una squadra favorita in quella partita. Era una, però, quella all'appuntamento col destino: il Bancoroma poteva diventare la prima squadra a vincere la coppa da esordiente, Bianchini il primo allenatore a vincerla con due squadre diverse (c'era riuscito alla guida di Cantù), Larry Wright il primo giocatore a vincere il campionato NBA, un campionato in Europa e la Coppa Campioni. Rischiò di non giocarla, per problemi fisici e non solo. Ma la molla era troppo forte e siccome lui, nero della Louisiana, per prendersi qualcosa ha sempre bisogno di avere l'impressione che qualcuno gliela stia portando via, nell'intervallo, col Banco sotto di 10 punti, prese in mano la situazione: “Nessuno pensa che ce la possiamo fare. Sono il leader della squadra, sento di dover fare qualcosa. Negli spogliatoi dico al coach e ai compagni di fidarsi di me: ce la facciamo, saremo campioni d'Europa. Dobbiamo rientrare in campo e non commettere più gli errori del primo tempo. L'esperienza del college mi ha insegnato che una partita di basket non è mai finita. L'opera non finisce finché non canta la cicciona, cioè il soprano. Bisogna correre, fino a quel momento l'abbiamo fatto male. Quella era una squadra che sapeva di avere bisogno del contributo di tutti”.

Su cosa accadde in quell'intervallo, è stato detto di tutto. Valerio Bianchini la racconta così: “Noi allenatori, seguiti dai giocatori, ci avviavamo verso lo spogliatoio. Ed ecco che la nostra strada è attraversata da un dirigente del Barcellona, con alcune bottiglie di champagne. Non solo, vedo Larry che si sofferma ad ascoltare le parole che gli sussurra nell'orecchio Mike Davis: 'Ehi Larry, mi sa che stavolta il premio non lo becchi'. Larry entrò per ultimo nello spogliatoio, sbattendo la porta con violenza, il viso contraffatto, gli occhi di fiamma e il ghigno bianchissimo sul suo volto nero. Esclamò con ardore una serie di frasi nello slang della Louisiana di quelle che noi allenatori non capiamo e siamo contenti di non capire. Poi raccontò l'episodio agli altri e le parole ebbero un potere detonante, molto più delle indicazioni tecniche che avevo in mente per raddrizzare la partita”.

Ha preso il pallone e non l'ha più fatto vedere a nessuno, compagni o avversari che fossero. Ha guidato la squadra alla rimonta, al pareggio, al sorpasso. Ma gli ultimi punti sono arrivati da un tiro sghembo di Gianni Bertolotti e dalla freddezza di un giovanissimo Stefano Sbarra, che a soli 22 anni entrò in campo senza paura di niente. Wright non la vinse da solo, la vinse perché dietro di lui c'era una squadra vera. Kea dominò ai rimbalzi (aiutato da Polesello) sfiancando Starks e Davis, Gilardi segnò poco ma caricò di falli San Epifanio, Solfrini seppe tenere a bada Sibilio e segnò due canestri decisivi nel secondo tempo, senza dimenticare Tombolato. Ragazzi che si dimostrarono una squadra vera anche nel sopportare i capricci di Larry Wright, che da quando s'infortunò a inizio stagione, non fu più lo stesso dell'anno prima. Diffidente verso tutti, al punto, come detto, di sparare a zero il giorno prima della gara più importante. Ma lui poteva portare alla vittoria quel gruppo, che seppe restare unito. Al resto pensò Bianchini, che seppe far capire ai giocatori che si trovavano di fronte a un'occasione che probabilmente non sarebbe ricapitata. Non ricapitò. E infatti se la presero, insieme al loro allenatore e ai loro tifosi.

Già, i tifosi. Più di tremila persone giunti in Svizzera con ogni mezzo costituiscono la più grande trasferta internazionale mai fatta per una squadra romana in qualsiasi sport che non sia il calcio. Chi poteva prese un charter, gli altri viaggiarono di notte con pullman e macchine, si mossero le scolaresche, professori e genitori chiusero vari occhi nei confronti dei loro figli, oppure partirono insieme a loro indossando i cappellini con visiera anni 80 che il Bancoroma distribuì a Ginevra. “Il ricordo più grande – ci ha raccontato Enrico Gilardi - è aver visto e conosciuto l'entusiasmo di tanti romani per il basket. Si sono imbarcati con tutti i mezzi possibili per raggiungere la Svizzera. Gente di tutte le età che quel giorno voleva esserci. A tanti anni di distanza, la gente che incontro ancora parla di quegli anni come qualcosa vissuta personalmente. I tifosi avevano fatto lo stesso percorso nostro e Ginevra fu il simbolo di tutto ciò. Coinvolgemmo tanta gente normale, non solo appassionati. Smuoverli da casa per venire fino a Ginevra fu importantissimo. Il calore che sentimmo è un ricordo che ancora oggi mi porto dentro”.

E' un ricordo che portiamo dentro tutti. Così forte che è diventato tale anche per chi non l'ha vissuto. Sia per quanto ne ha sentito parlare, sia perché di fronte a chi ha vinto svariati scudetti consecutivi può sempre rispondere che lui sul tetto d'Europa c'è stato. Anche se non c'era. Perché queste ricorrenze servono anche per ricordarsi (e ricordare, se serve) che chiunque, a qualsiasi titolo, prende parte alla storia della Virtus di oggi, ha l'onore e il dovere di sentirsi custode di quella coppa e di quella storia.

Irripetibile, verrebbe da dire, se non fosse che si darebbe un dispiacere al presidente dell'epoca Eliseo Timò. “Questa storia deve essere ripetibile”, ama ripetere con forza in ogni occasione in cui viene chiamato per festeggiare i successi del Bancoroma. Lo dirà anche stasera.

Bancoroma-Barcellona 79-73
Bancoroma: Wright 27 (13/32), Sbarra 8 (2/7), Kea 17 (6/11), Tombolato 5 (1/3), Gilardi 4 (1/6), Polesello 8 (2/4), Solfrini 8 (4/8), Bertolotti 2 (1/5), Salvaggi n.e., Grimaldi n.e. All. Bianchini
Barcellona: Santillana n.e., Seara 2 (1 /2), Sibilio 4 (2/4), Solozabal 6 (3 /4), Flores n.e., Ansa 11 (3/7), Starks 12 (5/8), De La Cruz 4 (1 /2), Davis 3 (1/ 2), San Epifanio 31 (12/19). All. Serra
Arbitri: Grigoriev (Urss), Rigas (Gre)
Spettatori: 8000

Note: Tiro: Bancoroma 30/76, Barcellona 28/48. Tiri liberi: Bancoroma 19/27, Barcellona 17/21. Rimbalzi: Bancoroma 21 (Kea 9), 11 offensivi; Barcellona 16 (Davis 5), 4 offensivi. Palle perse: Bancoroma 7 (Bertolotti 2), 4 recuperi; Barcellona 14 (Davis 5), 10 recuperi




2 commenti:

  1. che ricordi ....brividi e lacrime...

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  2. Serata indimenticabile che capita una volta nella vita e io ero li con una grande squadra che rimarra nella storia del basket romano.

    RispondiElimina

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