Oggi è l'11 luglio e trent'anni fa
l'Italia di calcio diventava campione del mondo. Dici: perché ne parli qui?
Intanto perché quella è una data scolpita nella memoria di chi c'era e di chi
non c'era, poi perché nel nostro piccolo anche qui si celebra il trentennale di
una vittoria (un po' di pazienza, bisogna aspettare aprile), che peraltro non
ha neanche un possibile paragone. Insomma, puoi pure metterti a paragonare Zoff
e Cannavaro, Pertini e Napolitano, gli autobus verdi e la metro B1, ma Wright,
Bianchini e Gilardi a chi li paragoni?
Eppure, nonostante non ci siano motivi
per attenuare l'effetto nostalgia, più s'andava avanti col tempo e più ci si
sentiva rispondere: «Eh sì, ancora col Bancoroma...», come se non se
ne potesse parlare. Anzi, a un certo punto c'è stata pure l'impressione che
quel periodo non fosse mai esistito. Invece è esistito, è irripetibile per
alcuni aspetti, perché una squadra di quasi tutti romani e due americani non ci
sarà mai più, ma non certo perché un giorno non si possano ottenere quei
risultati. E il fatto che questi ultimi non siano più arrivati non può certo
essere motivo per dimenticare il periodo in cui ci sono stati.
Tra i tanti motivi per farci un libro, c'era anche
questo: ricordarsi che Roma, la sua squadra di basket e la sua gente,
trent'anni fa hanno fatto qualcosa di grande.
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