Da
Il Romanista di oggi, intervista a Gigi Datome.
Di ragazzi così, che
sanno divertirsi, far divertire senza perdere il senso vero delle
cose, ne fanno pochi ormai. Di giocatori così, che in tempi di crisi
si riducono l'ingaggio per rimanere in una squadra da tempo a sua
volta in crisi, non ne fanno proprio più. E' bello, per un tifoso,
avere nella propria squadra Gigi Datome, capitano della splendida
Virtus di quest'anno. Una squadra che è andata al di là di
qualsiasi aspettativa, anche a quelle dello stesso Datome.
Dì la verità, te
l'aspettavi così bella?
Ci credevo tanto,
altrimenti non sarei rimasto. Forse ci credevamo solo io e il
presidente Toti, questa estate. Ma è vero che le cose poi con il
tempo sono lievitate e ora siamo anche al di là delle aspettative.
Finora è stata una stagione entusiasmante. NOn mi era mai capitato
di trovarmi in un gruppo così unito e coeso. E' stata questa la
nostra forza e il fattore che ci ha portato tanti punti in più.
Siamo cresciuti durante la stagione, a volte siamo stati anche
fortuanti, lo riconosco, ma se è successo è anche perché la
fortuna ce la siamo cercata e meritata non mollando mai. Nei momenti
difficili, e ogni squadra li ha durante una stagione, c'è sempre
stata da parte di tutti la voglia di aiutare i compagni in
difficoltà, di darsi una pacca sulla spalla, di provare a risolvere
i problemi dei compagni invece che pensare solo a salvaguardare se
stessi, che in questi casi è la tentazione più forte.
Quando
hai avuto la consapevolezza che si poteva andare lontano?
Il giorno della sconfitta
subita a Milano, nel girone d’andata. Avevamo perso con uno scarto
non molto ampio contro una delle favorite per il campionato. Invece
nello spogliatoio c’era un clima di tristezza e rabbia, quasi di
disperazione, perché, a prescindere dall’avversario, non eravamo
stati in campo nel modo giusto e non avevamo fatto quello che
dovevamo. In quel momento ho capito che eravamo una squadra formata
da persone che ragionano nel modo giusto.
Tra
poco arrivano i playoff. Dove volete arrivare?
Abbiamo tantissima voglia
di fare bene. Vedremo con chi capiteremo, potrebbe toccarci proprio
Milano, oppure Siena. Però non facciamo calcoli, anche perché sono
sicuro che nessuno sarà felice di incontrarci.
Qual
è il compagno di squadra che ti ha stupito di più?
Phil Goss. Ha fatto un
grandissimo lavoro nello spogliatoio, già dal periodo iniziale in
cui io non c’ero per via degli impegni con la Nazionale. Lui ha
fatto capire a tutti, in particolare ai giovani appena arrivati come
Taylor, Czyz e Lawal, che cos’è il basket europeo e come bisogna
comportarsi. Naturalmente conoscevo già le sue doti come giocatore,
ma non pensavo che avesse una tale personalità. Sa farsi ascoltare e
parla solo quando deve e quando serve. Non parla tanto per parlare.
Questo fa di lui un uomo fondamentale per lo spogliatoio.
E
adesso si diverte anche con i trick-shot... Che cosa sono?
Sono tiri fatti con
acrobazie strane. Lui si diverte a provare a fare tiri impossibili
dagli spalti del palazzetto. Una volta ha segnato, l’abbiamo
ripreso e messo online. Allora ne ha provati sempre di più
difficili, fino a segnare dall’ultimo anello. Abbiamo realizzato un
video e l’abbiamo mandato a Gallinari, che si diverte a fare la
stessa cosa in America. Ultimamente ha fatto un tiro da tre
all’indietro con una mano. Lui ha detto che ne voleva vedere almeno
tre. Phil ne ha fatti tre e adesso Gallo ci ha fatto sapere che sta
preparando una cosa ancora più difficile.
A
proposito di leadership, Valerio Bianchini ti ha paragonato a Larry
Wright...
Ringrazio Bianchini per
il paragone. La maggior parte dei tifosi che incontro mi dice sempre:
«Sai, io seguo la Virtus dai tempi di Larry Wright». Per ovvie
ragioni non l’ho mai visto giocare dal vivo, di sicuro lui ha vinto
tanto e io no. Da parte mia, cerco in ogni momento, ogni giorno, di
dare l’esempio ai miei compagni e di trasmettere loro il concetto
che la squadra viene prima di tutto. E’ quello che ho imparato da
Tonolli negli anni precedenti. Poi spesso si confonde il concetto di
"leader" con quello di "giocatore più forte della
squadra". Non è detto che le due cose coincidano. Uno dei
nostri leader, ad esempio, secondo me è Lorant, perché è uno che
trasmette proprio questo concetto. Quando non gioca, non fa mai facce
tristi ed è sempre il più contento di tutti se la squadra vince.
Quando gioca, come è accaduto contro Bologna, si fa trovare pronto
ed è utilissimo alla causa.
Il
pubblico apprezza...
Una cosa che ripeto
sempre ai miei compagni, dato che conosco l’ambiente perché è il
mio quinto anno qui, è che il risultato più bello che abbiamo
ottenuto è avere risvegliato la passione della gente di Roma.
Ricordo partite in cui al Palazzetto c’era poca gente e ovviamente
per niente felice. Invece oggi si riempie, c’è una simbiosi
bellissima tra pubblico e squadra e soprattutto siamo stati
applauditi anche dopo le sconfitte. Questo significa che i tifosi
sanno apprezzare i nostri sforzi. Percepire questo ci dà una grande
forza.
Ti
piacerebbe tornare al Palaeur?
Magari. Intanto perché
vorrebbe dire essere arrivati alle semifinali, dato che ho saputo che
per i quarti le date sono già occupate da Renato Zero. E poi perché
significherebbe che il Palazzetto non basta più per i nostri tifosi
e che abbiamo definitivamente risvegliato la piazza.
Non
ti chiedo dove giocherai il prossimo anno...
...tanto non ti
risponderei...
...appunto.
Però hai messo in conto che l’amore che hai trovato qui non lo
troverai più da nessun’altra parte?
Lo so, ma l’ho già
messo in conto la scorsa estate quando ho deciso di rifiutare
l’offerta di Bologna e di rimanere qui. L’affetto nei miei
confronti lo sentivo anche quando le cose andavano male, c’era
sempre qualcuno pronto a incoraggiarmi. Adesso magari mi aspettano
più persone all’uscita dopo le partite e comincio ad essere
riconosciuto per strada. Non ci ero abituato. Comunque è presto per
le decisioni, quando sarà il momento mi siederò con Toti e
parleremo serenamente.
Com’è
il tuo rapporto con la città?
Ho la fortuna di abitare
vicino al Palazzetto, quindi non subisco quello che è il più grande
problema di Roma, cioè il traffico. Amo passeggiare in centro,
scoprire ogni volta posti nuovi, compresi quei ristorantini di cui
magari non t’eri mai accorto e che scopri poi essere buonissimi. E
poi riesco ancora a confondermi in mezzo alla gente, per potermi
gustare il fascino della città in tranquillità, cosa che non
accadrebbe in una piccola cittadina che vive per il basket.
Sei
un divoratore di libri. In quale libro ti piacerebbe vivere?
Harry Potter e non credo
di dover spiegare perché.
Qual
è stato il tuo libro importante?
Forse un libro
"importante" non l’ho ancora incontrato. Le cose che
hanno cambiato e indirizzato la mia vita sono sempre venute da
esperienze reali. Però se penso a un libro che mi è entrato dentro,
dico Shantaram, di Gregory David Roberts. Mi ha fatto immergere in un
mondo che mi era totalmente sconosciuto, quello dell’India. Sono
più di mille pagine, ma l’ho letto in pochissimo tempo ed ero
dispiaciuto di averlo finito. So che potrebbero farne un film, anche
se bisognerebbe sempre evitare il paragone tra i libri e i film,
perché leggendo un libro ti crei la tua visione della storia, che
naturalmente non è mai come quella del regista che poi sceglie di
farne un film.
Cosa
stai leggendo ora?
Un libro di Charles
Bukowski, di cui mi piace lo stile, molto crudo. Si chiama "Il
capitano è fuori a pranzo".
(Sono
le 14.30) Messaggio ricevuto, capitano. Sennò più che crudo, il
pranzo diventa scotto...
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