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giovedì 28 marzo 2013

Datome: "Tanti mi dicono che seguono la Virtus dai tempi di Larry Wright..."


Da Il Romanista di oggi, intervista a Gigi Datome.

Di ragazzi così, che sanno divertirsi, far divertire senza perdere il senso vero delle cose, ne fanno pochi ormai. Di giocatori così, che in tempi di crisi si riducono l'ingaggio per rimanere in una squadra da tempo a sua volta in crisi, non ne fanno proprio più. E' bello, per un tifoso, avere nella propria squadra Gigi Datome, capitano della splendida Virtus di quest'anno. Una squadra che è andata al di là di qualsiasi aspettativa, anche a quelle dello stesso Datome.

Dì la verità, te l'aspettavi così bella?
Ci credevo tanto, altrimenti non sarei rimasto. Forse ci credevamo solo io e il presidente Toti, questa estate. Ma è vero che le cose poi con il tempo sono lievitate e ora siamo anche al di là delle aspettative. Finora è stata una stagione entusiasmante. NOn mi era mai capitato di trovarmi in un gruppo così unito e coeso. E' stata questa la nostra forza e il fattore che ci ha portato tanti punti in più. Siamo cresciuti durante la stagione, a volte siamo stati anche fortuanti, lo riconosco, ma se è successo è anche perché la fortuna ce la siamo cercata e meritata non mollando mai. Nei momenti difficili, e ogni squadra li ha durante una stagione, c'è sempre stata da parte di tutti la voglia di aiutare i compagni in difficoltà, di darsi una pacca sulla spalla, di provare a risolvere i problemi dei compagni invece che pensare solo a salvaguardare se stessi, che in questi casi è la tentazione più forte.

Quando hai avuto la consapevolezza che si poteva andare lontano?
Il giorno della sconfitta subita a Milano, nel girone d’andata. Avevamo perso con uno scarto non molto ampio contro una delle favorite per il campionato. Invece nello spogliatoio c’era un clima di tristezza e rabbia, quasi di disperazione, perché, a prescindere dall’avversario, non eravamo stati in campo nel modo giusto e non avevamo fatto quello che dovevamo. In quel momento ho capito che eravamo una squadra formata da persone che ragionano nel modo giusto.

Tra poco arrivano i playoff. Dove volete arrivare?
Abbiamo tantissima voglia di fare bene. Vedremo con chi capiteremo, potrebbe toccarci proprio Milano, oppure Siena. Però non facciamo calcoli, anche perché sono sicuro che nessuno sarà felice di incontrarci.

Qual è il compagno di squadra che ti ha stupito di più?
Phil Goss. Ha fatto un grandissimo lavoro nello spogliatoio, già dal periodo iniziale in cui io non c’ero per via degli impegni con la Nazionale. Lui ha fatto capire a tutti, in particolare ai giovani appena arrivati come Taylor, Czyz e Lawal, che cos’è il basket europeo e come bisogna comportarsi. Naturalmente conoscevo già le sue doti come giocatore, ma non pensavo che avesse una tale personalità. Sa farsi ascoltare e parla solo quando deve e quando serve. Non parla tanto per parlare. Questo fa di lui un uomo fondamentale per lo spogliatoio.

E adesso si diverte anche con i trick-shot... Che cosa sono?
Sono tiri fatti con acrobazie strane. Lui si diverte a provare a fare tiri impossibili dagli spalti del palazzetto. Una volta ha segnato, l’abbiamo ripreso e messo online. Allora ne ha provati sempre di più difficili, fino a segnare dall’ultimo anello. Abbiamo realizzato un video e l’abbiamo mandato a Gallinari, che si diverte a fare la stessa cosa in America. Ultimamente ha fatto un tiro da tre all’indietro con una mano. Lui ha detto che ne voleva vedere almeno tre. Phil ne ha fatti tre e adesso Gallo ci ha fatto sapere che sta preparando una cosa ancora più difficile.

A proposito di leadership, Valerio Bianchini ti ha paragonato a Larry Wright...
Ringrazio Bianchini per il paragone. La maggior parte dei tifosi che incontro mi dice sempre: «Sai, io seguo la Virtus dai tempi di Larry Wright». Per ovvie ragioni non l’ho mai visto giocare dal vivo, di sicuro lui ha vinto tanto e io no. Da parte mia, cerco in ogni momento, ogni giorno, di dare l’esempio ai miei compagni e di trasmettere loro il concetto che la squadra viene prima di tutto. E’ quello che ho imparato da Tonolli negli anni precedenti. Poi spesso si confonde il concetto di "leader" con quello di "giocatore più forte della squadra". Non è detto che le due cose coincidano. Uno dei nostri leader, ad esempio, secondo me è Lorant, perché è uno che trasmette proprio questo concetto. Quando non gioca, non fa mai facce tristi ed è sempre il più contento di tutti se la squadra vince. Quando gioca, come è accaduto contro Bologna, si fa trovare pronto ed è utilissimo alla causa.

Il pubblico apprezza...
Una cosa che ripeto sempre ai miei compagni, dato che conosco l’ambiente perché è il mio quinto anno qui, è che il risultato più bello che abbiamo ottenuto è avere risvegliato la passione della gente di Roma. Ricordo partite in cui al Palazzetto c’era poca gente e ovviamente per niente felice. Invece oggi si riempie, c’è una simbiosi bellissima tra pubblico e squadra e soprattutto siamo stati applauditi anche dopo le sconfitte. Questo significa che i tifosi sanno apprezzare i nostri sforzi. Percepire questo ci dà una grande forza.

Ti piacerebbe tornare al Palaeur?
Magari. Intanto perché vorrebbe dire essere arrivati alle semifinali, dato che ho saputo che per i quarti le date sono già occupate da Renato Zero. E poi perché significherebbe che il Palazzetto non basta più per i nostri tifosi e che abbiamo definitivamente risvegliato la piazza.

Non ti chiedo dove giocherai il prossimo anno...
...tanto non ti risponderei...

...appunto. Però hai messo in conto che l’amore che hai trovato qui non lo troverai più da nessun’altra parte?
Lo so, ma l’ho già messo in conto la scorsa estate quando ho deciso di rifiutare l’offerta di Bologna e di rimanere qui. L’affetto nei miei confronti lo sentivo anche quando le cose andavano male, c’era sempre qualcuno pronto a incoraggiarmi. Adesso magari mi aspettano più persone all’uscita dopo le partite e comincio ad essere riconosciuto per strada. Non ci ero abituato. Comunque è presto per le decisioni, quando sarà il momento mi siederò con Toti e parleremo serenamente.

Com’è il tuo rapporto con la città?
Ho la fortuna di abitare vicino al Palazzetto, quindi non subisco quello che è il più grande problema di Roma, cioè il traffico. Amo passeggiare in centro, scoprire ogni volta posti nuovi, compresi quei ristorantini di cui magari non t’eri mai accorto e che scopri poi essere buonissimi. E poi riesco ancora a confondermi in mezzo alla gente, per potermi gustare il fascino della città in tranquillità, cosa che non accadrebbe in una piccola cittadina che vive per il basket.

Sei un divoratore di libri. In quale libro ti piacerebbe vivere?
Harry Potter e non credo di dover spiegare perché.

Qual è stato il tuo libro importante?
Forse un libro "importante" non l’ho ancora incontrato. Le cose che hanno cambiato e indirizzato la mia vita sono sempre venute da esperienze reali. Però se penso a un libro che mi è entrato dentro, dico Shantaram, di Gregory David Roberts. Mi ha fatto immergere in un mondo che mi era totalmente sconosciuto, quello dell’India. Sono più di mille pagine, ma l’ho letto in pochissimo tempo ed ero dispiaciuto di averlo finito. So che potrebbero farne un film, anche se bisognerebbe sempre evitare il paragone tra i libri e i film, perché leggendo un libro ti crei la tua visione della storia, che naturalmente non è mai come quella del regista che poi sceglie di farne un film.

Cosa stai leggendo ora?
Un libro di Charles Bukowski, di cui mi piace lo stile, molto crudo. Si chiama "Il capitano è fuori a pranzo".

(Sono le 14.30) Messaggio ricevuto, capitano. Sennò più che crudo, il pranzo diventa scotto... 

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