La Virtus Roma piange la scomparsa di Fausto Santopaolo e si stringe ai suoi cari in questo momento di dolore. Fausto è stato una figura di riferimento per più di trent’anni nel mondo Virtus, preoccupandosi delle esigenze della squadra e dello staff nelle tante trasferte organizzate; di lui si ricorderà sempre l’enorme passione per la pallacanestro e per la Virtus che ha accompagnato la sua altrettanto grande professionalità.
Con questo comunicato la Virtus ha dato l'annuncio della scomparsa di Fausto Santopaolo. La sua esperienza in materia di viaggi fu decisiva in occasione della trasferta più numerosa mai fatta al seguito della Virtus, quella in occasione della finale di Coppa Campioni contro il Barcellona del 1984.
Questo è un passo tratto da "Banco! L'urlo del Palaeur", nel capitolo "Con ogni mezzo" dedicato alla trasferta di Ginevra.
"L'organizzazione di quella trasferta ha un eroe silenzioso. E' Fausto Santopaolo, responsabile della logistica della società, che fino al 1983 organizzava anche le trasferte della squadra di calcio. Fa miracoli, perché stavolta non gli tocca pensare "solo" alla squadra. L'esperienza gli servirà quando, anni dopo, continuando a stare a disposizione della Virtus, aprirà un'agenzia di viaggi insieme a Enrico Gilardi. Il Banco organizza tre voli charter, un airbus 300 e due DC9, per un totlae di 482 posti. Ma in lista ci sono altre 800 persone, speranzose in uan trattativa che il Banco intavola direttamente con Alitalia. Dovranno arrangiarsi, perché il 20 marzo i 1360 posti dei 26 pullman sono già tutti prenotati. Fatti i conti, compresi altri 300 biglietti "ufficiali" concessi dalla FIBA e messi in vendita pochi giorni prima della partita, più di mille persone viaggeranno su voli di linea, in macchina o in treno. Ognuno si organizza come può. Da Roma partiranno 20 pullman autonomi, compreso quello degli studenti dell'Istituto Tecnico Commerciale "Leonardo da Vinci", sul quale si sale con 50mila lire, compreso il biglietto della partita. Tre pullman partono da Milano, due da Torino, uno da Bologna".
BANCO! - L'urlo del Palaeur
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domenica 22 gennaio 2017
venerdì 25 marzo 2016
27 marzo 1986: Trent'anni fa il Banco vince la Korac. Intervista al coach Mario De Sisti: "Vi racconto la coppa"
Sono passati trent'anni. Il 27 marzo
1986, il Bancoroma vinceva la Coppa Korac vincendo la finale di
ritorno con la Mobilgirgi Caserta. Una cavalcata trionfale in
un'annata intensa, a volte anche sofferta, sicuramente appassionante.
La raccontiamo naturalmente in “Banco! L'urlo del Palaeur”, il libro sugli anni più belli del basket romano. Ma nel giorno del
trentesimo anniversario ne parliamo con Mario De Sisti, allenatore
del Banco nel 1985-86 e oggi ancora attivo con il settore giovanile
della 4 Torri Ferrara.
De Sisti, come iniziò la sua
avventura a Roma?
Fu Valerio Bianchini a segnalarmi al
Bancoroma. Avevo proposte da Cantù e Torino. Scelsi Roma anche
perché Valerio mi diede delle garanzie. Personaggi come lui ne
nascono uno ogni 50 anni in Italia. Mi sorprende che la Fip non lo
utilizzi per l'immagine del basket italiano. Comunque a Roma Mmi sono
trovato molto bene e tuttora quell'annata è uno splendido ricordo.
Le pesava venire dopo il tecnico che
aveva vinto tutto?
No, non ho mai avuto paura di niente.
Ho un carattere forte, che a volte mi ha fatto anche commettere degli
errori, non lo nego. Ma di sicuro la paura non mi apparteneva. Sono
sempre stato un missionario.
Appena arrivato, in estate, ci fu la
Coppa Intercontinentale in Spagna.
Servì per conoscere parte della nuova
squadra. Non c'erano né Rautins né Flowers, avevamo in prova un
americano che si ubriacava tutte le sere e che all'ennesimo whiskey
mandai a casa. Giocammo con uan squadra filippina, una brasiliana,
una americana, c'erano anche il Barcellona e il Cibona. Vidi comunque
che c'era ottimo materiale su cui lavorare.
Un gruppo di valore.
Guardi, io avevo ed ho ancora un amore
viscerale per Sbarra. Ci siamo anche scontrati, abbiamo litigato, ma
lui mi ha sempre seguito. Spesso lo incontro perché io seguo i
giovani e lui lavora con la Stella Azzurra e ogni volta ci
abbracciamo. Sento per lui un affetto particolare. E' un ragazzo
meraviglioso e mi diede tantissimo in quell'annata. Naturalmente
anche il nucleo storico, con Gilardi, Polesello e Solfrini era fatto
di ottimi giocatori, ma non c'era un grande feeling con loro. Forse
ho sbagliato qualcosa anche io. Però naturalmente conoscevo il loro
valore e lavoravo per farli rendere al massimo.
In campionato quella squadra avrebbe
potuto arrivare molto lontano in effetti...
Fu solo sfortuna. Faticammo a
raggiungere i playoff, ma ribaltammo subito il fattore campo con la
Virtus Bologna di Gamba. Fummo eliminati poi con Cantù per colpa di
una scivolata a metà campo su una pozza di sudore. Loro segnarono
poi con Cappelletti, che non s'è mai più sentito. Altrimenti
saremmo arrivati dritti in finale, perché eravamo in grande forma.
Parliamo anche di Rautins e Flowers.
Rautins era un ragazzo d'oro. Flowers
aveva un po' di puzza sotto il naso, ma quando giocava era
fortissimo. Un grande giocatore. Rautins era stato una prima scelta,
ma arrivò pieno di insicurezze. Non era un cuor di leone e tendeva
ad evitare gli scontri. Ma aveva un tiro micidiale e un passaggio
strepitoso. L'ho sfruttato come sesto uomo, convincendolo che poteva
cambiare le partite in meglio. Con la Virtus Bologna fu decisivo lui,
entrando dopo 10 minuti, fece una partita stratosferica e segnò i
tiri decisivi. Era già famoso negli Stati Uniti. L'ho ritrovato anni
fa a Toronto in una cena, c'era anche il figlio Andy. Gli ho portato
il dvd della finale di Korac che ho avuto da Sbarra. Era
contentissimo. Ho un ottimo ricordo di quella squadra. Avevo
giocatori di talento. C'era anche Phil Melillo. Mi diede molte
soddisfazioni anche Franco Rossi, un ottimo ragazzo, con voglia di
lavorare e di imparare. Lo feci debuttare proprio in Korac, contro
Challans. In Normandia, invece, successe un episodio divertente...
Ce lo racconti.
All'una e mezza di notte chiama in
albergo la moglie di Rautins che non riusciva ad accendere la caldaia
a casa. Lui scende nella hall, io ero con Flammini e Mecozzi e lo
vediamo disperato perché la moglie non poteva fare il bagno al
figlio con l'acqua fredda. Allora Mecozzi trovò non so come uno
stagnaro che andò a casa di Rautins per mettere a posto la caldaia
scoprendo che il problema era che la moglie non riusciva ad
accenderla col fiammifero. Rautins andò a letto alle 3 di notte...
Ero preoccupato. Ma poi vincemmo e giocò bene.
Com'era il rapporto con il pubblico?
Io adoravo il pubblico romano. E i
romani in generale. Mi sono sempre avvicinato a loro senza aspettare
che loro si avvicinassero a me. Ci parlavo, mi dicevano anche ciò
che non piaceva loro della squadra. Un paio di volte siamo anche
andati a mangiare una pizza. Quando sono tornato da ex stavano lì e
mi aspettavano, fu un'accoglienza commovente. Ogni volta che vengo a
Roma non vorrei mai tornare indietro. La gente pensa che i romani
sono sbruffoni e arroganti. Invece sono di una simpatia, affettuosità
e cordialità che raramente ho trovato in altre città. E ne ho
girate tante. Non sono abbastanza valorizzati i romani, io li adoro.
Sono simpatici, veri, puliti.
Il legame non si è mai spezzato
quindi.
A Roma tornerei domani mattina a
lavorare e a vivere. I romani sono simpatici, il clima è ottimo, si
mangia divinamente. Che vuoi di più? Ci ripenso spesso e ogni volta
che mi capita di tornarci sono contento. Ho tanti amici. Oltre a
Valerio che è un grande amico, stimo molto anche Marco Calvani. Ho
sempre seguito con simpatia le sorti della squadra di Roma, ho
apprezzato molto il lavoro della squadra allenata da Marco che è
arrivata in finale. Ho scritto una lettera di fuoco alla Gazzetta
dello Sport, che me l'ha pubblicata, per denunciare l'ingiustizia che
ha subito, perché si sarebbe meritato la riconferma e invece lo
hanno mandato via. In alcuni giocatori di quella squadra si vedeva il
frutto del suo lavoro di insegnante di pallacanestro. Ma spesso sono
cose che i general manager non colgono perché guardano altre cose.
Com'era giocare al Palaeur da
padrone di casa?
Il Palazzo metteva soggezione, con
questi spazi enormi. Spesso sbagliavo spogliatoio o mi ritrovavo al
piano sbagliato. Poi quando entravo in quella arena enorme, gli spazi
ci mettevano in difficoltà. Bisognava prendere le misure il sabato
mattina, quando ci allenavamo lì. E' difficile giocare lì se non
sei abituato a quelle distanze e alla profondità. Sono enormi
rispetto agli altri palazzetti. Ai giocatori dicevo: siccome è un
campo difficile per segnare, dobbiamo difendere fortissimo e pensare
a non far segnare gli altri. Mi hanno seguito. La Korac l'abbiamo
vinta in difesa.
Quale fu la mossa vincente?
All'andata scelsi di non preparare
difese speciali per Oscar, ma di marcare fortissimo gli altri
quattro. Tanto lui avrebbe comunque fatto tanti punti. Al ritorno
feci il contrario. Preparai una match-up con cambi sistematici e a
lui la palla non arrivava mai. Fece pochi punti e segnò poco. Volevo
che lui pensasse di poter avere la stessa libertà che aveva avuto
all'andata per poi sorprenderlo. E rimasero spiazzati anche i
compagni di squadra, che non si aspettavano di trovarsi a giocare
molti più palloni del solito. Si rivelò una mossa vincente a
livello psicologico. E' stata una grande vittoria. Alla fine mi
commossi. Una marea di gente sugli spalti, l'invasione di campo, la
soddisfazione di aver vinto una coppa. Fu bellissimo.
Lo scoglio più duro per arrivare in
finale?
La semifinale con Antibes, allenata da
Andrijesevic. Loro erano primi in classifica in Francia, noi avevamo
qualche infortunio. Ma la mia era una squadra in grado di soppperire
a questi problemi anche perché era composta da giocatori che
giocavano insieme da anni. Era molto ben amalgamata di suo. Io mi
limitai a portare qualcosa di diverso in difesa.
Era famoso per quello, in quegli
anni.
A proposito di Bancoroma, al termine
della stagione 1982-83 Larry Wright disse che nessun difensore lo
aveva messo in difficoltà in Italia, ma una squadra: Gorizia. E la
allenavo io. Facevo cose che in Italia non faceva nessuno. Bianchini
dopo i playoff mi chiese: ma che difesa hai fatto, Mario? E io: te lo
spiego a fine campionato...
Oltre ai giocatori e al pubblico,
cos'altro le torna in mente pensando a quell'annata?
Rapporti umani fortissimi e veri che mi
hanno arricchito. Vorrei citare subito Rino Saba. Il suo ricordo
ancora mi emoziona. Quando ho saputo della sua morte ho pianto tutto
il giorno. Ero sempre con lui a Roma, fu la mia guida in quella
stagione. Una persona fantastica. Di una bontà indefinita. Onesto.
Pulito. Anche Maurizio Flammini mi aiutò parecchio. Di Roma
conoscevo poco e lui mi ha aiutato, aveva anche una grande esperienza
di settori giovanili. Abbiamo anche litigato, ma sempre con spirito
costruttivo. C'erano ottimi tecnici, come Bernardini. Conobbi Calvani
in quel periodo. E' un ricordo bellissimo. Ho un grande ricordo anche
di Claudio Culini. Super. Andavamo sempre a pranzo insieme in una
paninoteca a Settebagni e poi tornavamo subito in palestra.
Un saluto ai tifosi romani di oggi e
di ieri?
Se potessi, tornerei indietro di
trent'anni per rivivere quell'annata dal primo all'ultimo secondo.
I TABELLINI DELLA FINALE
Giovedì 20/3/1986
Mobilgirgi
Caserta-Bancoroma 78-84 (33-45)
Mobilgirgi:
Lopez 14 (5/15, 0/2), Gentile 8 (3/7, 0/3), Esposito, Dell'Agnello
(0/9), Capone 12 (3/6, 2/3), Oscar 34 (4/12, 7/14), Generali 5 (0/1),
Chiusolo n.e., Ricci 5 (2/7), Palmieri. All. Tanjevic
Bancoroma:
Bastianelli n.e., Sbarra 11 (5/10), Picozzi n.e., Flowers 14 (6/11),
Rautins 20 (6/14, 1/1), Gilardi 19 (4/11, 1/4), Polesello 4 (1/8),
Solfrini 14 (4/10), Rossi 2 (1/1), Valente n.e. All. De Sisti
Arbitri: Mainini
(Fra) e Gerrard (Ing). Comissario Fiba: Popovic (Jug)
Spettatori: 8000
Incasso 90 milioni
Tiro: Mobilgirgi
26/79, Bancoroma 29/70. Tiri liberi: Mobilgirgi 18/21, Bancoroma
24/32. Tiri da tre: Mobilgirgi 9/22, Bancoroma 2/5. Rimbalzi:
Mobilgirgi 25, Bancoroma 47
Giovedì 27/3/1986
Bancoroma-Mobilgirgi
Caserta 73-72 (43-41)
Bancoroma:
Bastianelli n.e., Sbarra 17 (7/10), Picozzi n.e., Flowers 12 (5/7),
Rautins 21 (5/10, 1/3), Gilardi 15 (4/9, 2/3), Polesello 3 (0/5),
Solfrini 5 (2/6), Rossi n.e., Valente n.e. All. De Sisti
Mobilgirgi:
Lopez 16 (4/13, 2/5), Gentile 12 (5/9), Esposito n.e., Dell'Agnello
13 (6/12), Capone (0/2 da tre), Oscar 19 (5/14, 1/6), Generali 5
(1/4), Scaranzin n.e., Ricci 7 (3/5), Palmieri n.e. All. Tanjevic
Arbitri: De
Costner (Bel) e Zych (Pol). Commisario Fiba: Turner (Ing)
Spettatori:
13.600 paganti. Incasso 90 milioni
Tiro: Bancoroma
26/53, Mobilgirgi 27/71. Tiri liberi: Bancoroma 18/27, Mobilgirgi
13/18. Tiri da tre: Bancoroma 3/6, Mobilgirgi 3/13. Rimbalzi:
Bancoroma 35, Mobilgirgi 30
lunedì 6 luglio 2015
In (possibile, probabile) morte della Virtus Roma
Da qualche giorno provo, senza successo, a scrivere qualcosa sulla molto probabile fine della Virtus. Poi mi sono reso conto che l'ho già scritto. Pagina 108 di “Banco! L'urlo del Palaeur”, libro uscito tre anni fa, in giorni molto simili a questi. Lo dedico a tutti coloro che almeno una volta nella vita hanno tifato per la Virtus, compresi quelli che su tante cose non la pensano come me e con cui spero di continuare a discutere, perché vogliamo la stessa cosa anche se pensiamo di arrivarci per strade diverse. E anche a chi può ancora fare qualcosa. Se lasciate che muoia la Virtus, forse è vero che non muore il basket a Roma. Ma muore quel che segue:
“Se oggi la Virtus è l'unica realtà di vertice dello sport romano – a parte Roma e Lazio – a non essere mai sparita negli ultimi 30 anni, è perché ancora resiste un sentimento nato 30 anni fa. E se c'è un motivo per cui non bisogna farla sparire, è proprio quel sentimento, anche se ora se ne sta un po' nascosto. Sballottato tra Palaeur, là dove nello stesso spazio in cui oggi ci sono due sedie vuote allora entravano 4 persone, e Palazzetto. Cercando sul soffitto quegli stendardi che, ricordando i trofei, ti ricordano da dove provieni. Deluso e rimasto a casa, a “spizzare” i risultati su internet o sul televideo, ostentando a fatica distacco. E' un qualcosa che si è tramandato spontaneamente nel tempo, che ha bisogno di tanto coraggio, ma che vale la pena di essere vissuto. Spiegarlo è più difficile che viverlo. Oppure è la stessa cosa. E' capirsi da uno sguardo, soli in mezzo a tanti. O in mezzo a pochi, fa lo stesso, tanto gli altri non lo capiscono. E' la più anomala delle passioni sportive, che ti fa leggere i giornali sportivi al contrario e non ti fa mai andar via prima della fine, perché non c'è il problema del traffico. E' invecchiare insieme al vicino di posto o vedere il bambino che stava sempre in quarta fila accanto alla madre diventare alto 1 metro e 90. E' sentirsi soli. A Roma, dove nessun altro capisce che si può provare per una squadra di basket quello che si prova per una squadra di calcio. Nell'Italia della pallacanestro, dove nessuno si pone il dubbio che anche a Roma possa esserci la stessa passione che c'è altrove. E' fare cose senza senso. Andare a Settebagni per un'amichevole del 14 agosto, a Ginevra per la finale di Coppa dei Campioni, a Reggio Calabria per retrocedere, a Pesaro per nascondersi nei bagni prima della finale di Korac perché non hai il biglietto, a Mestre per il funerale di un giocatore. Passare la notte da solo per le vie di Forlì perché hai perso il treno ma Ansaloni ti ha fatto felice all'ultimo secondo, piangere a Forlì, 10 anni dopo, perché la Coppa Italia se n'è andata. Saper prevedere un'ora prima della partita quanti spettatori ci saranno in base alle macchine parcheggiate sulla collina dell'Eur, contare uno per uno i presenti contro la Francorosso Torino o contro il Pau Orthez. E' troppo bello per poter essere tradito. Scusate se lo chiamiamo amore. L'abbiamo maledetto e l'abbiamo difeso, questo amore. Mentre lasciavamo che la voce finisse rimanendo afoni fino al mercoledì, mentre ci lasciavamo andare seduti sul prato accanto al capitano, mentre gli arbitri non ci lasciavano vincere. La rimessa era nostra, non era fallo in attacco di Allen, ma era fallo su Righetti e il canestro di Gilardi era buono. Lasciavamo che Obradovic piangesse, che Henson decidesse di veder nascere il figlio, che Tusek prendesse in braccio il figlio, che Nando il magazziniere ci trattasse come figli. Mentre i genitori non ci lasciavano andare in trasferta, gli amici che non volevano capire ci lasciavano perdere, le ragazze che non potevano capire ci lasciavano. Ci lasciavano i campioni come Parker e Sconochini, ma ci lasciavano sognare con il passo e tiro di Bodiroga e Ancilotto. Sogni d'agosto, finché un giorno d'agosto non ci avrebbe lasciati anche lui. Davide”.
“Se oggi la Virtus è l'unica realtà di vertice dello sport romano – a parte Roma e Lazio – a non essere mai sparita negli ultimi 30 anni, è perché ancora resiste un sentimento nato 30 anni fa. E se c'è un motivo per cui non bisogna farla sparire, è proprio quel sentimento, anche se ora se ne sta un po' nascosto. Sballottato tra Palaeur, là dove nello stesso spazio in cui oggi ci sono due sedie vuote allora entravano 4 persone, e Palazzetto. Cercando sul soffitto quegli stendardi che, ricordando i trofei, ti ricordano da dove provieni. Deluso e rimasto a casa, a “spizzare” i risultati su internet o sul televideo, ostentando a fatica distacco. E' un qualcosa che si è tramandato spontaneamente nel tempo, che ha bisogno di tanto coraggio, ma che vale la pena di essere vissuto. Spiegarlo è più difficile che viverlo. Oppure è la stessa cosa. E' capirsi da uno sguardo, soli in mezzo a tanti. O in mezzo a pochi, fa lo stesso, tanto gli altri non lo capiscono. E' la più anomala delle passioni sportive, che ti fa leggere i giornali sportivi al contrario e non ti fa mai andar via prima della fine, perché non c'è il problema del traffico. E' invecchiare insieme al vicino di posto o vedere il bambino che stava sempre in quarta fila accanto alla madre diventare alto 1 metro e 90. E' sentirsi soli. A Roma, dove nessun altro capisce che si può provare per una squadra di basket quello che si prova per una squadra di calcio. Nell'Italia della pallacanestro, dove nessuno si pone il dubbio che anche a Roma possa esserci la stessa passione che c'è altrove. E' fare cose senza senso. Andare a Settebagni per un'amichevole del 14 agosto, a Ginevra per la finale di Coppa dei Campioni, a Reggio Calabria per retrocedere, a Pesaro per nascondersi nei bagni prima della finale di Korac perché non hai il biglietto, a Mestre per il funerale di un giocatore. Passare la notte da solo per le vie di Forlì perché hai perso il treno ma Ansaloni ti ha fatto felice all'ultimo secondo, piangere a Forlì, 10 anni dopo, perché la Coppa Italia se n'è andata. Saper prevedere un'ora prima della partita quanti spettatori ci saranno in base alle macchine parcheggiate sulla collina dell'Eur, contare uno per uno i presenti contro la Francorosso Torino o contro il Pau Orthez. E' troppo bello per poter essere tradito. Scusate se lo chiamiamo amore. L'abbiamo maledetto e l'abbiamo difeso, questo amore. Mentre lasciavamo che la voce finisse rimanendo afoni fino al mercoledì, mentre ci lasciavamo andare seduti sul prato accanto al capitano, mentre gli arbitri non ci lasciavano vincere. La rimessa era nostra, non era fallo in attacco di Allen, ma era fallo su Righetti e il canestro di Gilardi era buono. Lasciavamo che Obradovic piangesse, che Henson decidesse di veder nascere il figlio, che Tusek prendesse in braccio il figlio, che Nando il magazziniere ci trattasse come figli. Mentre i genitori non ci lasciavano andare in trasferta, gli amici che non volevano capire ci lasciavano perdere, le ragazze che non potevano capire ci lasciavano. Ci lasciavano i campioni come Parker e Sconochini, ma ci lasciavano sognare con il passo e tiro di Bodiroga e Ancilotto. Sogni d'agosto, finché un giorno d'agosto non ci avrebbe lasciati anche lui. Davide”.
mercoledì 17 giugno 2015
Federico Buffa racconta Larry Wright
Ebbene sì, è success. Superbasket, 10 aprile 1986. Larry stava a Udine, ma tant'è...
Già, com'è andata a finire? Potete leggero in "Banco! L'urlo del Palaeur", il libro che ripercorre tutta l'epopea del Bancoroma. Ma proprio tutta.
mercoledì 22 aprile 2015
I 145 stranieri della storia della Virtus, le loro 30 nazionalità e il primo, che però nella Virtus non giocò mai...
Quella di Mika Vukona è la trentesima nazionalità (Italiana esclusa) che si vede nella storia della Virtus Roma. Da tempo stiamo cercando di catalogare tutti i giocatori non italiani che hanno vestito la maglia della Virtus, anche se è sempre più difficile individuare i criteri. Qualche esempio: Sconochini è italiano come Gabini? Di passaporto sì, ma i percorsi cestistici sono ben diversi ed entrambi hanno giocato con l'Argentina. Fermo restando che chi ha cambiato passaporto in corsa si tiene quello di origine (Bobby Jones e Ibby Jaaber, ad esempio, restano americani), che Becirovic anche se è arrivato come italiano non può non restare sloveno, che Ejim è canadese anche se gioca da nigeriano... E non sono gli unici casi. Al momento l'unico georgiano è Quinton Hosley, che probabilmente non sa neanche che esiste uno stato chiamato Georgia.
In
attesa di perfezionare un conteggio che comunque è imperfezionabile (anzi, chi ha segnalazioni, non esiti!),
al momento non sono presi in considerazione i giocatori che hanno
giocato solo in Coppa Italia (esempi: Rory White, Larry Spriggs e
forse non solo loro) o che sono stati tesserati senza disputare
neanche una gara ufficiale (Jim Chones o, ultimo esempio, Petty
Perry) i conti sono questi:
USA
(82): Mike Davis, Phil Hicks, Tom Zaliagiris, Kim Hughes, Larry
Wright, Clarence Kea, Darrell Lockhart, Raymond Townsend, Bruce
Flowers, Scott May, Mike Bantom, George Gervin, Lorenzo Romar, David Thirdkill, Danny Ferry, Brian Shaw, Kurt Nimphius,
Michael Cooper, Ricky Mahorn, Elvis Rolle, Kenny Payne, Tanoka Beard,
Shelton Jones, Albert English, Ben Coleman; Jeff Sanders, Bob
Thornton, Mark Davis, Marty Embry, Steve Henson, Gary Plummer, Tod
Murphy, Irving Thomas, Ian Lockhart, Ed Stokes, Bill Edwards, Gaylon
Nickerson, Warren Kidd, John Turner, Mike Iuzzolino, Henry Williams,
Jerome Allen, Rod Sellers, George Gilmore, Benjamin Handlogten,
Scoonie Penn, Casey Shaw, Jeff Sheppard, Brandon Wolfram, Horace
Jenkins, Anthony Parker, Cory Alexander, Rashard Griffith, Keith
McLeod, Tyus Edney, Maurice Carter, David Hawkins, Gary Trent, Mire Chatman, Ibrahim
Jaaber, Erik Daniels, Allan Ray, Andre Hutson, Brandon Jennings, Ruben Douglas,
Kennedy Winston, Ricky Minard, Darius Washington, Josh Heytvelt, Charles Smith,
Clay Tucker, Jarvis Varnado, Phil Goss, Bobby Jones, Jordan Taylor,
Josh Mayo, Jimmy Baron, Austin Freeman, Ramel Curry, Kyle Gibson,
Jordan Morgan, Brandon Triche
SLOVENIA (7): Marko Tusek, Vlado Ilievski, Erazem Lorbek, Sani Becirovic, Primoz Brezec, Jurica Golemac, Uros Slokar
NIGERIA
(6): Obinna Ekezie, Adeola Dagunduro, Gani Lawal, Callistus Eziukwu,
Trevor Mbakwe, Ndudi EbiSLOVENIA (7): Marko Tusek, Vlado Ilievski, Erazem Lorbek, Sani Becirovic, Primoz Brezec, Jurica Golemac, Uros Slokar
FRANCIA (5): Stephen Johnson, Vassil Evtimov, Herve Toure, Ali Traore, Jerome Moiso
SERBIA (4): Sasa Obradovic, Dejan Bodiroga, Ognjen Askrabic, Tadija Dragicevic
GRECIA (4): Yannis Gagaloudis, Mihalis Kakiouzis, Loukas Mavrokefalidis, Dimitris Marmarinos
ARGENTINA (3): Juan Alberto Espil, Hugo Sconochini, Roberto Gabini
CROAZIA (3): Dino Radja, Roko Ukic, Rok Stipcevic
IRLANDA (3): Dan Callahan, Cal Bowdler, James Larranaga,
CANADA (2): Leo Rautins, Melvin Ejim
BELGIO (2): Tomas van den Spiegel, Maxime De Zeeuw
BOSNIA (2): Nihad Djedovic, Nemanja Gordic,
MONTENEGRO (2): Vladimir Dasic, Halil Kanacevic
POLONIA (2): Alexsandar Czyz, Simon Szewcyk
GERMANIA (2): Sebastian Machowski, Marko Pesic
DANIMARCA (2): Claus Hansen, Christian Drejer
BRASILE (1): Andrade Israel
PORTOGALLO (1): Johnny Branch
PORTORICO (1): Daniel Santiago
REPUBBLICA CECA (1): Lubos Barton
REPUBBLICA DOMINICANA (1): Jose Vargas
SVEZIA (1): Doremus Bennermann
AUSTRALIA (1): Wade Helliwell
GIAMAICA (1): Bryan Bailey
ISLANDA (1): Jon Stefansson
SPAGNA (1): Rodrigo De La Fuente
UNGHERIA (1): Peter Lorant
SOMALIA (1): Faisal Aden
GEORGIA (1): Quinton Hosley
NUOVA ZELANDA (1): Mika Vukona
Il primo di tutti, però, non è in questa lista. Perché il primo straniero della storia della Virtus non giocò mai nella Virtus. Arrivò che era già infortunato. La sua storia, sinistro presagio di molte altre, è su "Banco! L'urlo del Palaeur", il libro che trovate qui.
lunedì 20 aprile 2015
"Banco! L'urlo del Palaeur" entra in biblioteca
"Banco! L'urlo del Palaeur", il libro che racconta l'epopea del Bancoroma, è stato donato alla biblioteca "Pier Paolo Pasolini" di Viale Caduti per la Resistenza 410/a. E lì è disponibile per prestito e consultazione. In fondo, non è molto distante dal Palaeur e in quartiere, Spinaceto, che da molto prima che Nanni Moretti si accorgesse di lui per fare "Caro Diario", era pieno di gente che giocava a basket. E lo è ancora.
contatti
responsabile della biblioteca Antonio Lombardo
telefono (0039) 06 45460520
fax (0039) 06 5083275
e-mail pasolini@bibliotechediroma.it
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e-mail pasolini@bibliotechediroma.it
30 anni prima: Zam Fredrick (Ebbene sì)
Stavolta abbiamo saltato l'appuntamento, perché fa male ricordarlo. Ma il 18 aprile 1985 il Bancoroma veniva eliminato dai playoff al termine di una delle serie più assurde della sua storia. Dopo aver vinto la regular season, incontrò la Scavolini, che si era qualificata all'ultima giornata e che aveva cambiato 2 allenatori e 4 stranieri durante la stagione. Uno di loro, Zam Fredrick, fu il grande protagonista di quella serie caratterizzata da tre vittorie esterne. Pesaro vince a Roma, Roma vince a Pesaro, Pesaro vince a Roma. Però grazie a youtube possiamo rivedere il duello tra Townsend e Fredrick in gara2, quella che il Banco vinse a Pesaro quando tutti lo davano per spacciato.
Se poi invece volete sapere tutto, ma proprio tutto, sull'epopea del Bancoroma, non dovete far altro che leggere Banco! L'urlo del Palaeur che trovate qui
Se poi invece volete sapere tutto, ma proprio tutto, sull'epopea del Bancoroma, non dovete far altro che leggere Banco! L'urlo del Palaeur che trovate qui
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